Strategie per preservare la fertilità nei pazienti oncologici

L’American Society of Clinical Oncology ha appena aggiornato le raccomandazioni per la preservazione della funzione riproduttiva negli individui che sviluppano neoplasie in età fertile

Un tema centrale nella gestione dei pazienti affetti da tumore in età fertile è quello della preservazione della fertilità, anche se spesso viene messo in secondo pianto rispetto ad altre priorità. Lo ribadiscono in modo incisivo le Linee guida ASCO (American Society of Clinical Oncology) 2025 sulla preservazione della fertilità che sono state appena aggiornate e pubblicate sulla rivista Journal of Clinical Oncology. Le nuove raccomandazioni mirano a fornire informazioni chiare e attuabili per affrontare il tema delle fertilità sulla base di nuove evidenze e con particolare attenzione alla multidisciplinarità, sottolineando l’importanza della valutazione del rischio riproduttivo e della proposta di strategie di preservazione sin dalla diagnosi della neoplasia. Purtroppo, infatti, oggi molti pazienti oncologici non ricevono informazioni adeguate o riferimenti tempestivi a specialisti della fertilità prima di iniziare le terapie per il cancro.

L’analisi sistematica degli studi scientifici

L’aggiornamento delle Linee guida ASCO 2025 si basa sulla revisione sistematica di 166 studi, con il coinvolgimento di oncologi, ginecologi, urologi, psicologi, esperti di etica e pazienti. Il documento è stato progettato per supportare i medici nell’integrazione della preservazione della fertilità nel quadro complessivo della gestione dei pazienti oncologici nei diversi contesti di malattia e in ogni fase della vita, includendo anche situazioni particolari come i pazienti in età prepuberale e nel setting post-trattamento.

Le linee guida sottolineano anche l’importanza di promuovere l’equità e quindi rendere accessibile la preservazione della fertilità a tutti i pazienti, a prescindere non solo dell’età, ma anche di orientamento sessuale, identità di genere, status riproduttivo e condizione economica.

Le diverse raccomandazioni sono articolate, con indicazioni sul livello di evidenza e sulla forza del consiglio.

L’impatto delle terapie sulla fertilità maschile

I trattamenti antitumorali influiscono sulla fertilità maschile attraverso diversi meccanismi, come la distruzione delle cellule staminali spermatogoniali (le cellule che danno origine agli spermatozoi) e delle cellule somatiche testicolari, la compromissione della funzione eiaculatoria e l’interruzione dell’asse ipotalamo-ipofisi-testicoli, un sistema di regolazione ormonale che controlla la produzione degli spermatozoi. Risultano particolarmente dannose per la formazione degli spermatozoi terapie quali la chemioterapia alchilante, gli agenti a base di platino, le radiazioni ai testicoli e i trapianti di cellule ematopoietiche, mentre sono ancora carenti i dati relativi ai possibili effetti tossici sulla riproduzione nei maschi di terapie di recente introduzione, per esempio con inibitori del checkpoint immunitario e coniugati anticorpo-farmaco.

Le opzioni per i pazienti di sesso maschile

Le linee guida ribadiscono che la crioconservazione del liquido seminale rappresenta la prima opzione da considerare, fortemente raccomandata, sicura e non invasiva. Dovrebbe essere offerta prima di iniziare la terapia oncologica. Anche un singolo campione, se adeguatamente frazionato, può essere sufficiente per accedere in futuro a tecniche di fecondazione assistita come l’inseminazione intrauterina o la fecondazione in vitro.

Nei maschi in età puberale e post-puberale che non sono in grado di produrre un campione di sperma, è raccomandata l’estrazione chirurgica di spermatozoi dal testicolo, da eseguire prima dell’inizio del trattamento del cancro.

Prima della pubertà, l’unica opzione disponibile è la crioconservazione del tessuto testicolare che però è una procedura sperimentale, da proporre solo in contesti di protocolli clinici approvati.

Infine la gonadoprotezione ormonale, che prevede la soppressione ormonale con analoghi del GnRN (agonisti dell’ormone di rilascio delle gonadotropine) non è efficace e pertanto non è raccomandata nel maschio.

Le strategie di preservazione della fertilità nel sesso femminile

L’infertilità associata alle terapie oncologiche è un problema importante per le donne che sviluppano un tumore in età riproduttiva. Per questo motivo le pazienti andrebbero sempre informate tempestivamente circa la possibilità di sottoporsi a procedure per la preservazione della fertilità. Le opzioni standard prevedono tecniche che richiedono una stimolazione ovarica controllata seguita dal prelievo ovocitario per la crioconservazione degli ovociti o degli embrioni (da eseguire dopo fecondazione in vitro con seme del partner o donatore). I dati raccolti per l’aggiornamento delle linee guida rassicurano sull’assenza di un impatto negativo delle tecniche di stimolazione ovarica, anche nei tumori sensibili agli estrogeni

La crioconservazione di tessuto ovarico è, invece, l’unica tecnica attuabile nelle bambine prepuberi e non richiede stimolazione ormonale.

Altra tecnica consolidata è la trasposizione ovarica, indicata nelle pazienti che devono ricevere radioterapia pelvica. Essa consiste nello spostare chirurgicamente le ovaie il più lontano possibile dal campo di irradiazione in modo da proteggerle dai danni delle radiazioni.

Altre tecniche per la fertilità, anche dopo le terapie oncologiche

L’uso di agonisti del GnRH durante la chemioterapia è un’altra opzione che può essere considerata nelle donne in quanto ha dimostrato un effetto protettivo sulla funzione ovarica, ma non può sostituire le tecniche di crioconservazione. L’uso di agonisti del GnRH è raccomandato come complemento nei tumori sensibili agli estrogeni, per esempio nel carcinoma mammario.

Una tecnica emergente è rappresentata invece dalla maturazione in vitro degli ovociti, che consente il recupero di ovociti immaturi seguiti da maturazione extracorporea, ma la qualità delle evidenze per ora è bassa.

Le linee guida affrontano anche il tema della preservazione della fertilità, attraverso la crioconservazione di embrioni od ovociti, dopo il completamento delle terapie oncologiche. La riuscita dipende dalla riserva ovarica residua, stimabile mediante dosaggio dell’ormone antimülleriano e conteggio dei follicoli antrali. I tassi di successo di questo tipo di approccio sono comunque inferiori rispetto al contesto pre-trattamento.

I messaggi chiave delle nuove linee guida

Le cure riproduttive dovrebbero far parte delle cure standard di tutti i pazienti oncologici e gli specialisti dovrebbero sempre informare i pazienti sui rischi, noti e sconosciuti, sulla fertilità associati alle terapie oncologiche a cui dovranno sottoporsi. Lo ribadiscono con forza le nuove linee guida ASCO che sottolineano anche l’importanza che i pazienti a rischio di infertilità siano tempestivamente messi in contatto con specialisti della riproduzione e professionisti psicosociali, come assistenti sociali e psicologi. Quest’ultimi svolgono infatti un ruolo fondamentale nel sostenere emotivamente i pazienti, già provati dal tumore, mentre affrontano l’angoscia di una potenziale infertilità. Gli studi dimostrano infatti che affrontare precocemente i problemi di fertilità aiuta a ridurre il disagio emotivo a lungo termine.

Sebbene le raccomandazioni ASCO siano chiare, la loro reale implementazione potrebbe essere ostacolata da diversi fattori, a partire dalle disparità di accesso ai servizi di fertilità alla mancanza di percorsi strutturati nei centri oncologici. Ecco perché è importante che specialisti e associazioni pazienti facciano squadra per migliorare ed estendere l’accesso alla preservazione della fertilità.

Antonella Sparvoli

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