Indagine sul vissuto dei portatori della sindrome di Lynch

Fondazione Mutagens ha condotto una survey online sulle aspettative e le esperienze di un campione di individui con questa condizione ereditaria di predisposizione ai tumori del colon, dell’endometrio e di altri distretti

Fondazione Mutagens ha analizzato di recente i risultati della Survey Mutagens Pro-Lynch, iniziativa, nata nell’ambito del Progetto Pro-Lynch, realizzato dalla Fondazione in collaborazione con FAVO (Federazione delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e la sponsorship di GSK. Si tratta del primo sondaggio tra i portatori della sindrome di Lynch, a cui hanno risposto 168 individui sia affetti sia sani ad alto rischio, in tutta Italia, nato per fotografare le esperienze e le criticità nella presa in carico di questa sindrome ereditaria che predispone allo sviluppo di tumori del colon, dell’endometrio e di altri organi, spesso in giovane età. Ci racconta i nuovi dati emersi Salvo Testa, presidente di Fondazione Mutagens.

Il sondaggio

L’indagine è stata condotta nei mesi di maggio e giugno 2025, tramite un questionario distribuito online ai portatori. Le 24 domande della survey coprivano vari aspetti dell’esperienza dei portatori e sono state raggrupparte in 6 categorie, quali percezione della sindrome d Lynch, accesso ai test genetici, oncologia e terapie personalizzate, stile di vita, sorveglianza e interventi preventivi nonché interesse per le innovazioni.

Hanno risposto al sondaggio 168 individui, per la maggior parte donne, di cui circa la metà residenti nel Nord Italia e con alle spalle una diagnosi di tumore. In termini di età il campione è risultato costituito per il 63% da persone con più di 40 anni e dal restante 37% da individui tra i 25 e i 40 anni.

Salvo Testa

Dalla percezione della sindrome alla diagnosi genetica

«La maggior parte dei partecipanti percepisce la propria condizione come un rischio e una fonte di preoccupazione, ma c’è anche chi coglie le opportunità che possono derivare dalla conoscenza della propria condizione di portatore – premette Salvo Testa -. Gran parte delle donne (63%) tende a percepire la sindrome di Lynch come un rischio, complici probabilmente anche le possibili ricadute di tale condizione sull’apparato genitale femminile (rischio di tumori dell’endometrio e dell’ovaio) e sulla procreazione. Più della metà degli uomini (54%), specialmente i più giovani (80%), la vedono invece come un’opportunità di prevenzione e diagnosi precoce».

Circa il 75% dei portatori ha scoperto di avere la sindrome di Lynch attraverso i test a cascata perché un familiare ha scoperto a sua volta di essere portatore o ha ricevuto una diagnosi di tumore, mentre il 35% del campione ha scoperto di avere la sindrome dopo la diagnosi di tumore personale. Nel loro insieme i dati emersi suggeriscono che il percorso di diagnosi genetica familiare sia comune in tutte le regioni.

Accesso ai test genetici variegato per età e area geografica

Dalla sezione del sondaggio dedicata ai test genetici è emersa invece la difficoltà al loro accesso, percepita da buona parte dei portatori (42%) a causa della mancanza di informazioni, supporto e strutture.

«Abbiamo notato che le donne sopra i 40 anni, senza diagnosi di tumore e residenti nel Nord Italia, rappresentano una quota significativa tra coloro che trovano l’accesso “Accessibile, ma con lunghe attese”. Al contrario, i partecipanti più giovani e residenti nelle Isole tendono a percepire maggiori difficoltà. Quindi emergono differenze significative nell’accesso ai test genetici in base a variabili demografiche e geografiche» riferisce Testa.

Terapie personalizzate non per tutti

«Sul fronte delle terapie personalizzate, la strada appare ancora in salita. A oltre il 50% dei partecipanti al sondaggio non sono state offerte terapie ad hoc. Ciò indica una lacuna nelle opzioni di trattamento, indipendente dalla ragione di appartenenza, dall’età e dal genere, sebbene il 40% dei portatori si dichiari fiducioso nella conoscenza della materia da parte degli oncologi e nelle informazioni che forniscono» segnala Testa.

Dall’analisi emerge anche che il 31% dei partecipanti ha giudicato la propria esperienza di terapia “Positiva”, il 31% “Neutra” e l’8% “Negativa”. Incrociando i dati, si osserva che le donne sopra i 40 anni, senza diagnosi di tumore e residenti nel Nord Italia, tendono a valutare l’esperienza in modo positivo. Al contrario, i partecipanti più giovani e residenti nelle Isole mostrano una percezione più neutra o negativa.

Un paio di quesiti hanno rigurdato la prevenzione farmacologica, in particolare con aspirina. Ebbene i dati mostrano che nella maggior parte dei casi (81%) non sono stati proposti interventi di farmacoprevenzione. Per quanto rigiarda nello specifico l’assunzione dell’aspirina a scopo preventivo dei tumori del colon-retto, nei casi in cui è stata proposta, ben l’85% dei partecipanti ha dichiarato di non aver ricevuto spiegazioni adeguate sul suo uso e solo il 15% ha affermato di aver ricevuto informazioni chiare e complete.

Stile di vita

Dall’analisi emerge che il 42% dei partecipanti non segue particolari raccomandazioni, il 30% si basa su fonti non mediche, mentre il 28% segue indicazioni fornite da medici o specialisti. Tuttavia emerge anche che la metà dei portatori cerca di avere un’alimentazione sana, magari impegnandosi a ridurre il consumo di carne rossa e ad aumentare quello di frutta e verdura o fibre in generale.

L’attività fisica invece non è molto contemplata (70%), soprattutto per mancanza di volontà e tempo (53%), in particolare per le donne.

Ancora lacune su sorveglianza e prevenzione chirurgica

La maggior parte dei partecipanti segue un programma di sorveglianza definito (61%), ma molti sopra i 40 anni di età ritengono che potrebbe essere migliorato (46%).  Quasi la metà dei portatori riferisce che non gli sono stati offerti interventi preventivi (49%) e un’alta percentuale non è a conoscenza dei benefici dell’aspirina nella chemioprevenzione del tumore al colon (79%).

«Sebbene la maggior parte dei partecipanti abbia un programma di sorveglianza definito, molti ritengono che potrebbe essere migliorato, il che suggerisce che ci sono ancora lacune nel monitoraggio efficace. Non si rilevano sostanziali differenze per genere, età, diagnosi di tumore o regione di appartenenza. La chirurgia profilattica sugli organi a rischio è stata proposta a circa la metà dei portatori e nelle donne sopra i 40 anni è più rilevante la percentuale di chi ha accettato la prevenzione chirurgica, soprattutto tra chi non aveva ancora ricevuto una diagnosi di tumore. C’è una maggiore propensione ad accettare l’intervento al Nord e al Centro, mentre nelle Isole c’è una maggiore concentrazione di coloro che sono in fase di valutazione. Per quanto rigurada le colonscopie periodiche, gran parte dei portatori riferisce il fastidio legato all’esame, ma è consapevole dell’importanza di effettuare i controlli regolari» riferisce il presidente di Fondazione Mutagens.

Innovazione: le opportunità offerte da biopsia liquida e vaccino

La maggior parte dei portatori che hanno partecipato al sondaggio guarda con notevole interesse alle innovazioni diagnostiche e terapeutiche, in particolare alla biopsia liquida e ai vaccini.

«Il Sud sembra la regione dove l’innovazione della biopsia è meno conosciuta rispetto alle altre regioni d’Italia. La biopsia liquida inoltre sembra essere particolarmente accettata in prospettiva dalle giovani donne indipendentemente dalla regione di appartenenza e dalla diagnosi di tumore – segnala Testa -.  I portatori si sono rivelati molto interessati anche ai vaccini preventivi e hanno espresso il desiderio di voler provare un eventuale vaccino (91%), sia come nuova opzione terapeutica, sia come prevenzione per ridurre il rischio di tumore nei portatori. I più favorevoli sono gli uomini (100%) e i giovani (96%) anche se rappresentano i profili meno rilevanti dal campione rappresentativo».

Antonella Sparvoli

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